La condropatia, la patologia della cartilagine
Condropatia: dal greco χόνδρος, cioè “cartilagine” e πάϑεια cioè “soffrire, sentire”.
Per condropatia, si intende un danno al tessuto cartilagineo, che altera il normale funzionamento delle articolazioni e rappresenta l’esordio della patologia artrosica.
Le articolazioni sono strutture anatomiche del corpo umano, che mettono in reciproco contatto due o più ossa. La maggior parte delle articolazioni appartiene alla categoria delle diartrosi, giunture mobili formate da diversi elementi: superfici articolari delle due o più ossa interessate, cavità articolare, capsula articolare, liquido sinoviale, legamenti e tendini.
In “condizioni normali”, la cartilagine articolare si presenta come una superficie liscia, lubrificata e nutrita dal liquido sinoviale, quindi si tratta di un contatto non diretto tra i capi ossei, ma mediato da tessuto fibroso o cartilagineo e/o da liquido, che permette di effettuare un movimento fluido di estensione e flessione. La condropatia, può colpire qualsiasi articolazione sinoviale, sia singolarmente che contemporaneamente. Quelle maggiormente colpite sono:
- l’anca,
- il ginocchio,
- la mano,
- il piede,
- la colonna vertebrale.
Per esempio, nel caso di condropatia del ginocchio (condropatia rotulea) – l’articolazione che mette in connessione la tibia con il femore – si intende la degenerazione che interessa la cartilagine sul lato interno della rotula.
La condropatia può essere asintomatica in una fase iniziale e solo successivamente, in una fase più avanzata, manifestarsi dolore articolare passeggero o continuo. Di solito maggiore è il danno, maggiore è il dolore e il disagio. I dolori possono essere legati ad un’articolazione specifica oppure interessare più articolazioni anche in modo sequenziale.
Poiché la cartilagine è il tessuto connettivo del nostro corpo meno propenso alla riparazione, nel momento in cui risulta danneggiata è pressoché impossibile da ripristinare. Appare fondamentale quindi, l’approccio preventivo associato ad un impegno costante nel ridurre le cause che possono accelerare i processi degenerativi. La condropatia, infatti, può rappresentare sia l’esito fisiologico di un danno articolare legato all’avanzare dell’età (che prevede un deterioramento della cartilagine), ma allo stesso tempo può manifestarsi in caso di vita sedentaria, cattiva postura, sovrappeso, attività sportive usuranti, incidenti e traumi. In tutti i casi, si osserva un’iniziale “sofferenza” della cartilagine che innesca il processo degenerativo, la condropatia, che darà il via al processo cronico-evolutivo a carico di tutto l’organo articolare: l’osteoartrosi.
Quali sono i 5 gradi della condropatia
La Condropatia Rotulea può essere distinta in 5 stadi:
- Condropatia rotulea di grado 0: condizione cartilaginea normale;
- Condropatia rotulea di grado 1: è lo stadio meno grave, comporta solo un rammollimento della cartilagine, ma senza fissurazioni (microlesioni);
- Condropatia rotulea di grado 2: in questo stadio sono presenti alcune piccole fissurazioni, ma di misura inferiore ai 15 mm;
- Condropatia rotulea di grado 3: si riscontrano numerose fissurazioni, localizzate o diffuse, di misura superiore ai 15 mm;
- Condropatia rotulea di grado 4: corrisponde alla perdita di tutta la cartilagine e può evolvere in Condromalacia quando è interessato l’osso.
Quante tipologie di patologie a carico della cartilagine esistono?
- Condropatia rotulea: condropatia che interessa la regione anteriore del ginocchio, quindi è associata sia alla rotula, sia al femore dove la rotula scorre nel movimento di flesso-estensione. Il ginocchio è un’articolazione molto importante, poiché è chiamato a sostenere il carico di tutto il corpo, è coinvolto nella deambulazione ed è condizionato da posture scorrette derivanti da squilibri presenti in altre articolazioni; risulta quindi particolarmente predisposta a fenomeni di usura accompagnati o meno da infiammazione.
Le situazioni a rischio di condropatia rotulea possono essere varie:
- malformazioni che disallineano femore, rotula e tibia,
- il valgismo,
- il varismo,
- la rotula a baionetta,
- una spiccata debolezza muscolare,
- i traumi,
- gli sport agonistici (ciclismo, sci o corsa).
In caso di dolore ricorrente si consiglia, innanzitutto un miglioramento dello stile di vita che porti a ridurre l’usura articolare evitando il sovraccarico (corsa, salto, piegamenti sulle ginocchia).
- Ernia del disco: provocata dalla frattura di una parte del disco intervertebrale che funge da cuscinetto tra una vertebra e l’altra, con lo scopo di assorbire gli urti e i traumi a cui la colonna è sottoposta. I dischi vertebrali sono costituiti da una parte interna gommosa più morbida, il nucleo polposo, e da una parte esterna fibrosa e dura. A seguito di traumi, sollevamento erroneo di pesi, mantenimento di posture scorrette o semplicemente per invecchiamento fisiologico, è probabile che la parte esterna di tali dischi si fratturi e si verifichi l’ernia del disco con fuoriuscita del materiale gelatinoso e conseguente compressione e irritazione dei nervi spinali che circondano la colonna. La sintomatologia è acuta, con dolore localizzato spesso insopportabile (la cui intensità varia a seconda della gravità dell’ernia) oppure dolori radicolari agli arti inferiori o superiori, anche in assenza di movimento.
- Condrosarcoma: tumore maligno raro che origina dalle cellule che producono la cartilagine (condrociti). Le ossa maggiormente colpite sono le ossa lunghe (gambe, braccia, dita delle mani e dei piedi), la pelvi e le scapole.
Tra i sintomi tipici di un condrosarcoma, rientrano:
- dolore alle ossa (che peggiora durante la notte): dolore persiste durante il giorno, non migliora con il riposo e aumenta nel corso degli anni;
- comparsa di una massa voluminosa a livello dell’osso interessato;
- fragilità ossea a cui fa seguito una spiccata tendenza alle fratture.
Nel caso in cui coinvolga le gambe, nelle fasi più avanzate compare zoppia e dolore all’anca che si irradia all’interno coscia fino al ginocchio. Spesso la gamba coinvolta è ruotata verso l’esterno.
- Costocondrite: infiammazione dolorosa a carico delle cartilagini e tessuti connettivi delle costole (torace). Nello specifico vengono interessate le articolazioni costo-sternali, ovvero il punto di unione delle coste con lo sterno.
Il principale sintomo è il dolore toracico che presenta le seguenti caratteristiche:
- può essere diffuso a tutto il torace o localizzarsi in punti specifici dello sterno o delle coste;
- tende a irradiarsi verso la schiena e l’addome provocando mal di schiena o mal di pancia;
- tende a peggiorare con i movimenti del torace;
- può avere una durata limitata o essere costante per diverso tempo.
Possono verificarsi anche senso di tensione muscolare costante a livello del petto e la limitazione funzionale di alcuni movimenti. È importante riconoscerla e differenziarla dall’infarto cardiaco (dolore intenso che si irradia verso la spalla e il braccio).
- Sindrome di Tietze: malattia infiammatoria delle cartilagini costali e sternali molto simile alla costocondrite, ma più localizzata in uno specifico punto. I sintomi primari sono dolore, gonfiore e indolenzimento a livello del tessuto cartilagineo. Il dolore è accompagnato da un rigonfiamento della cartilagine costale che interessa una delle quattro costole superiori.
- Osteocondrite disseccante: disturbo dell’apparato scheletrico che colpisce più frequentemente i bambini e gli adolescenti di sesso maschile tra 10 e 20 anni, con un’incidenza maggiore nei giovani atleti. Si verifica quando un piccolo segmento di osso inizia a separarsi dalla sua posizione a causa di mancato apporto di sangue. Questo determina un progressivo scollamento del frammento osseo e di una porzione cartilaginea collegata ad esso. Il ginocchio è l’articolazione più colpita.
È probabile che l’osteocondrite dissecante possa dipendere da cause traumatiche, infiammatorie, da un carente afflusso di sangue (ischemia) o da un’alterazione congenita, più probabilmente questi fattori agiscono in combinazione.
Il primo sintomo dell’osteocondrite dissecante è il dolore, che può variare in base all’estensione e alla localizzazione. In seguito può manifestarsi limitazione del movimento articolare e gonfiore.
- Condrodisplasia e acondroplasia: malattia genetica che causa alterazioni displastiche delle cartilagini e conseguentemente deformazioni scheletriche, disarmonie corporee e bassa statura. Si può manifestare in vari modi, in particolare l’acondroplasia è una displasia scheletrica, ovvero uno sviluppo anomalo dello scheletro, caratterizzata da ipostaturalità con arti sproporzionatamente brevi, capo voluminoso e tronco di dimensioni normali. Durante l’infanzia è comune il riscontro di ipotonia (diminuzione del tono dei muscoli) con ritardo di acquisizione delle tappe dello sviluppo motorio.
- Epifisiolisi femorale: il disturbo dell’anca più comune negli adolescenti in crescita che si manifesta con dolore, rigidità e instabilità nell’anca interessata. La condizione è dovuta allo scivolamento in giù e indietro della testa del femore rispetto al collo del femore, a livello della placca di crescita. Con tutta probabilità l’epifisiolisi è il risultato di un indebolimento della placca di crescita a causa di infortunio, deformità dell’anca, complicanze dell’obesità, infiammazione o cambiamenti nei livelli di ormoni nel sangue (ad esempio un basso livello di ormoni tiroidei). Il dolore si attenua con il riposo e si acutizza camminando o muovendo il bacino.
La Condropatia come esordio della patologia artrosica
Quando il processo degenerativo a carico della cartilagine coinvolge l’intera articolazione, provocando dei cambiamenti patologici nell’osso, nella sinovia, nei menischi e nei legamenti, si parla di osteoartrosi, o artrosi.
Artrosi: dal greco ᾶρθρον cioè “articolazione, giuntura” e –osi, suffisso che indica condizione, lesione, malattia degenerante.
L’osteoartrosi, è una malattia degenerativa di tipo cronico, che colpisce le articolazioni con un inizio silente che diventa particolarmente dolorosa, in concomitanza di alcuni fattori intercorrenti, quali: variazioni climatiche, l’avanzare dell’età, la sedentarietà, la postura, il sovrappeso, le attività sportive usuranti, incidenti e traumi. L’osteoartrosi è tra le principali cause di dolore e disabilità a livello mondiale. Si stima che in Italia siano 4 milioni le persone affette da questa patologia, con una prevalenza maggiore per le donne rispetto agli uomini e con l’aumento correlato al crescere dell’età.
In passato si usava impropriamente il termine osteoartrite o artrite per descrivere un processo infiammatorio a carico delle articolazioni. In realtà, le 2 patologie, pur avendo delle caratteristiche comuni (sono entrambe patologie reumatiche delle articolazioni, portando dolori che rendono difficoltosa la mobilità degli arti) presentano delle differenze importanti.
L’artrosi è una patologia degenerativa che scaturisce dall’usura della cartilagine articolare, più frequentemente a carico delle articolazioni sottoposte a maggiore sollecitazione.
L’artrite è, invece, una patologia infiammatoria autoimmune cronica, non correlata a fattori specifici e può manifestarsi in persone di tutte le età. In genere si sviluppa nelle articolazioni di polsi, mani, caviglie e piedi in modo bilaterale. I principali sintomi dell’artrite sono tumefazione, rigidità articolare e dolore che si presenta in qualsiasi momento.
A supporto di questa differenziazione, negli ultimi anni numerose evidenze hanno dimostrato che l’osteoartrosi non può essere più considerata una patologia degenerativa solamente a carico della cartilagine articolare, ma rappresenta l’esito finale di un percorso che comprende tutta l’articolazione quindi non soltanto la cartilagine, ma anche la sinovia, sede dell’infiammazione, fino ad arrivare all’osso subcondrale.
Per infiammazione articolare da osteoartrosi si intende, un’infiammazione silente, cronica di basso grado caratterizzata da una sintomatologia dolorosa, in cui la degenerazione cartilaginea e allo stesso tempo causa ed effetto del processo in atto. Infatti, il graduale assottigliamento della cartilagine è responsabile dell’innesco il processo infiammatorio, ma nello stesso modo anche l’infiammazione silente peggiora il processo degenerativo cartilagineo, poiché attiva le metallo proteasi, enzimi responsabili della degradazione del tessuto connettivale.
Man mano che la patologia avanza, quindi la degenerazione della cartilagine peggiora, il dolore e l’infiammazione si aggravano, dando luogo così alla formazione di un circolo vizioso che si autoalimenta, fino alla totale scomparsa della cartilagine articolare che lascia scoperto l’osso sottostante. In questa situazione, l’osso reagisce allo sfregamento formando osteofiti e zone di osteosclerosi nelle zone più sottoposte al peso, la capsula articolare si gonfia, le membrane sinoviali si infiammano.
I principali fattori di rischio dell’artrosi trovano il loro denominatore comune nell’usura conseguente all’età, al sovrappeso, ad attività lavorative intense, allo sport e a tutte le situazioni che determinano sovraccarico articolare.
Il nesso tra condropatia, artrosi e flogosi
La Condropatia e l’Artrosi sono 2 aspetti della stessa patologia.
La Condropatia è la degenerazione del tessuto cartilagineo che può manifestarsi in maniera spontanea o come conseguenza di un trauma articolare.
L’artrosi è il processo degenerativo non solo a carico della cartilagine, ma rappresenta l’esito finale di un percorso che comprende tutta l’articolazione quindi non soltanto la cartilagine, ma anche la sinovia e l’osso. L’artrosi è stata sempre considerata esclusivamente una malattia su base degenerativa, in realtà dalla letteratura è noto che si tratta di una patologia su base infiammatoria, in particolare si tratta di un’infiammazione cronica di basso grado (o infiammazione silente).
Flogosi o infiammazione: dal greco ϕλόγωσις cioè “combustione”, in greco antico φλόξ, cioè “fiamma”.Un importante componente, che sostiene ed aggrava la patologia artrosica, è l’infiammazione. Gli studi più recenti hanno dimostrato infatti che l’artrosi non è solo un processo degenerativo, come si era creduto fino al recente passato, ma anche un processo flogistico.
Principalmente, è l’assottigliamento della cartilagine e lo sfregamento dei capi ossei a provocare l’infiammazione che determina poi il versamento di liquido e la tumefazione della zona interessata, determinando il dolore e aggravando i processi degenerativi. L’infiammazione porta all’attivazione delle metalloproteasi, enzimi responsabili della degradazione della matrice cartilaginea, che contribuiscono al peggioramento della condropatia. La degradazione della cartilagine, a sua volta, produce detriti che alimentano l’infiammazione attraverso la produzione di citochine. Si instaura, così, un circolo vizioso che in cui i 2 aspetti –infiammazione e degenerazione– sono allo stesso tempo causa ed effetto della progressione della patologia artrosica.
Nello specifico, si tratta di un’infiammazione di basso grado, un’infiammazione sub-clinica, cioè silente che non provoca una sintomatologia acuta nel paziente, ma aggrava la degenerazione articolare e quindi, provoca avanzamento silente della malattia.
A questa insidiosa situazione – per fattori intercorrenti- si alternano periodi di flogosi acuta, quindi dolore intenso, di solito trattato con sintomatici.
L’artrosi inizia con delle microfratture, o fissurazioni, della cartilagine articolare. Le fibre di collagene si dissociano e si attiva un processo di condrolisi, che implica la distruzione del tessuto cartilagineo e l’innesco della risposta infiammatoria con la produzione di molecole proinfiammatorie.
Riconoscere i principali sintomi dell’artrosi
Per i pazienti che ne soffrono, la sintomatologia dolorosa è invalidante e a questa si associa, gonfiore, limitazione dei movimenti e difficoltà nel compiere semplici azioni quotidiane (salire le scale, camminare…) soprattutto la mattina e la sera. Per esempio, nel caso della artrosi rotulea, i classici sintomi sono il dolore in corrispondenza della rotula e la strana sensazione di “qualcosa che schiocca”, al momento dei movimenti di estensione/piegatura del ginocchio interessato, soprattutto salendo o scendendo le scale, durante la pratica sportiva e restando seduti per molto tempo. Il dolore si focalizza soprattutto nella parte anteriore del ginocchio e, a volte, si irradia fino alla coscia e può portare al peggioramento di alcune attività: salto, scatto, balzi, camminate in discesa, fare le scale, posizioni accovacciate.
In base all’articolazione colpita da artrosi esistono vari tipi di classificazione, organizzate secondo lo stadio di avanzamento della patologia:
- Classificazione di Samilson e Prieto nel caso dell’osteoartrosi di spalla, costituita da 3 stadi;
- Classificazione di Kellgren Lawrence relativa all’osteoartrosi di ginocchio, che prevede 4 stadi;
- Classificazione di Tonnis per l’osteoartrosi di anca, suddivisa in 3 stadi.
Quindi, il sintomo principale dell’artrosi è rappresentato dal dolore a diversi gradi, legati al diverso tipo di danno condrale che ci troviamo ad affrontare. Anche i traumi diretti sono responsabili della sindrome e della sintomatologia dolorosa.
Partendo da queste basi, si possono distinguere 2 momenti della patologia:
- Fase iniziale: per fattori intercorrenti (pratica sportiva, traumi, overuse) il paziente vivrà dei periodi di flogosi acuta, con dolore intenso a carico delle articolazioni, di solito gestito con sintomatici. In questi casi, una volta trattata la fase acuta, risulta però necessario intervenire – su una patologia cronica evolutiva come l’artrosi – con un trattamento continuo e costante nel tempo, che agisca su più punti: infiammazione (a vari livelli) e degenerazione, senza effetti collaterali.
- Fase avanzata: comune in pazienti di età avanzata e si manifesta con limitazione dei movimenti – in cui si ha la cronicizzazione del processo artrosico che acquisisce sempre maggiore complessità coinvolgendo più strutture contemporaneamente:
- Cartilagini – progressione del processo degenerativo con rigidità e perdita della funzionalità articolare;
- Muscoli – perdita di massa e forza muscolare con conseguente difficoltà nei movimenti, minore autonomia alla deambulazione, maggior rischio di cadute e di fratture;
- Ossa – demineralizzazione ossea con incremento esponenziale della fragilità.
Per questa ragione e in particolare in stato carenziale, risulta opportuno intervenire con un approccio completo che preveda un’azione mirata alla flogosi e degenerazione nelle fasi iniziali e un intervento su cartilagine, muscolo e ossa, nelle fasi più avanzate, con la massima compliance per il paziente.
Quali cause scatenano la condropatia e l’artrosi
I fattori di rischio1 più comuni alla base di una condropatia sono:
- Genetica: diversi studi hanno dimostrato come ci sia una significante componente genetica nello sviluppo di questa patologia. In particolare, la componente ereditabile può arrivare fino al 50%. Questo significa che il fattore genetico gioca un ruolo fondamentale nella metà dei casi di osteoartrosi della popolazione generale2;
- Indice di massa corporea: il peso corporeo elevato è un forte fattore di rischio per lo sviluppo di condropatia. In particolare, le persone in sovrappeso (BMI 25-30) e le persone obese (BMI>30) hanno, rispettivamente, una probabilità doppia e tripla di incorrere nella patologia. Infatti, l’eccesso di peso fa sì che si sovraccarichino eccessivamente le articolazioni: le più colpite sono quella dell’anca, del ginocchio e della colonna vertebrale.
Quando si cammina su un terreno pianeggiante, la forza applicata sulle ginocchia equivale a 1 volta e mezzo il proprio peso corporeo. Ciò significa che un uomo di 80 Kg applicherà l’equivalente di 120 Kg di pressione sulle proprie ginocchia ad ogni passo. Se poi si aggiunge anche un’inclinazione, come avviene quando si fanno le scale, la pressione risulterà ancora maggiore. In particolare, la forza applicata su ogni ginocchio sarà da due a tre volte superiore rispetto a quella applicata dal proprio peso corporeo, quando si sale e si scende le scale e da quattro a cinque volte il proprio peso corporeo quando ci si accovaccia per allacciarsi le scarpe o per raccogliere un oggetto da terra.
In conclusione, un notevole aumento del peso significa un aumento dei fattori di rischio correlati allo sviluppo dell’artrosi, cioè un invecchiamento più rapido delle articolazioni, con progressivo aggravamento della sintomatologia dolorosa correlata.
Tenere sotto controllo il proprio peso sarà dunque la prima cosa da fare per stare meglio.
A conferma di questo, la riduzione del peso corporeo comporta una riduzione del rischio di osteoartrosi al ginocchio. Situazione simile si manifesta in caso di gravidanza, momento delicato nella vita di una donna, in cui il suo corpo deve adattarsi rapidamente a cambiamenti ormonali repentini e le articolazioni vengono gravate da un peso maggiore;
- Stile di vita: il fumo di tabacco e il consumo di alcool sono associati ad un aumento del rischio di osteoartrosi. Anche una scorretta alimentazione può essere un fattore determinante. In particolare, la carenza di vitamina C sembra essere correlata allo sviluppo della patologia. Inoltre, l’assenza o la scarsa attività fisica può essere alla base del dolore che si accusa quando si sollecitano le articolazioni poco allenate;
- Fattori ormonali: tra questi, la menopausa, in cui si assiste ad una fisiologica riduzione della sintesi di estrogeni con conseguente aumento della infiammazione di basso grado e spostamento dell’equilibrio tra osteoblasti e osteoclasti, a favore di questi ultimi con aumento del riassorbimento osseo (osteoporosi). C’è poi l’allattamento, periodo durante il quale la secrezione di un ormone, l’ossitocina, causa un rilassamento delle articolazioni che diventano più “fragili”;
- Traumi: un danno all’articolazione (incluso un intervento chirurgico) può provocare l’insorgenza di osteoartrosi. In questo caso si parla di osteoartrosi post-traumatica (post-traumatic osteoarthritis, PTOA). A seguito di un trauma, possono avvenire dei cambiamenti dannosi nella struttura dell’articolazione, soprattutto se i tessuti dell’articolazione sono esposti a sovraccarico durante l’infortunio;
- Attività fisica: una moderata attività fisica (come il running amatoriale) non aumenta il rischio di osteoartrosi. Tuttavia, l’attività fisica intensa aumenta il rischio di incorrere nella patologia. In generale, per abbassare il rischio di osteoartrosi è consigliabile un’attività fisica moderata, soprattutto per la popolazione anziana.
Come prevenire o ridurre il rischio di sviluppare condropatia e artrosi
La condropatia e l’artrosi, sebbene siano patologie figlie dell’avanzare dell’età, possono essere in parte prevenute seguendo uno stile di vita sano:
- evitare il sovrappeso,
- svolgere attività fisica regolare e costante,
- evitare sport che sollecitano eccessivamente e ripetutamente le articolazioni.
In caso di artrosi di grado lieve-moderato è consigliabile praticare un trattamento conservativo: la fisioterapia. Allungamento e rinforzo dei muscoli dell’intero arto coinvolto (anteriori, posteriori, interni ed esterni) sono le armi per rimediare alle patologie degenerative articolari a lungo termine.
In caso di un’importante debolezza muscolare, sarà possibile l’utilizzo dell’elettrostimolazione in contemporanea allo svolgimento del programma di esercizi. È fondamentale che il paziente lavori a casa ed esegua gli esercizi assegnati dal terapista nel modo più costante possibile.
Nei casi più gravi invece, se la lesione cartilaginea è molto evidente e profonda, può essere necessario un intervento chirurgico: l’artroscopia terapeutica. Questo è l’intervento richiesto in caso di artrosi severa e sarà necessaria una preparazione pre-ospedaliera e un percorso post-ospedaliero per il completo recupero.
In conclusione, se una persona avverte dolori articolari sospetti, che, nonostante il riposo, tendono a non guarire, dovrebbe contattare il proprio medico curante e richiedere un consulto.
Qualora dal consulto emergesse la necessità di approfondire l’origine della sintomatologia con valutazioni e test più specifici, risulterebbe indispensabile una visita medica specialistica, presso un medico ortopedico.
Trattare l’artrosi: come agire in base al grado di dolore
L’artrosi è una patologia cronica degenerativa a carico della cartilagine articolare le cui manifestazioni sono dolore ed infiammazione.
Nei primi stadi, il fenomeno acuto dura solo pochi giorni per poi estinguersi. In realtà, quello che si estingue, momentaneamente, è solo il dolore, non la patologia, che invece avanza diventando sempre più difficile da trattare. Per questo motivo, in questa fase, è presente il cosiddetto fenomeno di infiammazione silente, in cui tutti i fattori flogistici attivati, lavorano “in sordina” alimentando la degenerazione cartilaginea. Questa situazione risulta essere ancora più pericolosa, rispetto alle fasi dolorose, poiché, non si ha la percezione di intervenire terapeuticamente, con conseguente aggravamento della patologia.
Inoltre, spesso, il fenomeno osteoartrosico interessa diverse articolazioni contemporaneamente. In questa situazione si rende necessario, un approccio terapeutico sistemico che agisca sinergicamente sui 2 aspetti che caratterizzano il processo cronico-degenerativo:
- i fenomeni infiammatori;
- la degenerazione della cartilagine articolare.
Da una parte, l’infiammazione (determinata da stress meccanico, sovraccarico articolare, lavoro usurante, sport agonistico, difetti di postura, eccessiva sedentarietà) innesca l’attivazione di citochine pro-infiammatorie (Interleuchine, TNF-alpha) che attivano le metalloproteasi inducendo un aumento del processo degenerativo. Contemporaneamente, la cartilagine degenerata, si comporta da stimolo irritativo a livello della sinovia, con conseguente amplificazione del processo infiammatorio.
Si instaura così un vero e proprio circolo vizioso che si autoalimenta e determina una progressiva perdita delle normali componenti anatomiche articolari. Si rende necessario, fin dai primi stadi, un approccio specifico e contemporaneo su entrambi gli aspetti che coesistono alla base del processo artrosico: la degenerazione cartilaginea e i fenomeni infiammatori.
Quindi, un approccio multimodale che preveda l’impiego di:
- attivi accreditati;
- dosaggi supportati dalla letteratura;
- brevetti internazionali.
La scelta di impiegare attivi accreditati a dosaggi corretti, poiché supportati da letteratura scientifica, è necessaria per garantire un’azione più rapida sulla sintomatologia dolorosa, grazie ad un intervento multitarget.
Inoltre, la scelta di impiegare attivi con Brevetto Internazionale documenta:
- standardizzazione e riproducibilità degli effetti;
- completa Biodisponibilità;
- massima tollerabilità.
Esistono, infatti, alcuni attivi brevettati, la cui efficacia (a dosaggi adeguati) è documentata dalla letteratura scientifica:
- Boswellia Fitosoma (Casperome®)
Brevetto internazionale che garantisce una formulazione ad alta standardizzazione di Acidi Boswellici e ne massimizza la biodisponibilità. La sua spiccata attività antiinfiammatoria è determinata dalla capacità di bloccare l’enzima 5-lipossigenasi, uno dei principali responsabili del processo infiammatorio, con conseguente blocco della sintesi dei leucotrieni. Gli Acidi Boswellici, inoltre, inibiscono l’attivazione delle Metallo Proteasi, enzimi responsabili della distruzione della matrice cartilaginea.
- BioCell®
Brevetto internazionale costituito da Collagene idrolizzato di tipo II, Acido Ialuronico e Condroitin solfato. La sua efficacia nel ripristinare il tessuto cartilagineo degenerato è stata documentata se impiegato ad alte dosi (1g/die). Inoltre, recenti risultati di studi clinici hanno riportato che contribuisce alla riduzione della sintomatologia tipica dei disturbi articolari e al recupero funzionale dall’esercizio.
- UC-II®
Condroprotettore di nuova generazione, che si distingue dagli altri condroprotettori per il suo peculiare meccanismo d’azione, basato sul processo immunitario della tolleranza orale e la sua efficacia a basse dosi: 40mg/die. UC-II, infatti, grazie alla sua forma non denaturata, ha la capacità di stimolare l’attivazione dei Linfociti T Regolatori, presenti in forma quiescente all’interno del tessuto linfoide associato all’intestino (GALT), chiamate placche di Peyer.
I Linfociti T regolatori entrano nel circolo ematico e arrivano a livello delle articolazioni infiammate dove riconoscono molecole equivalenti a quelle da cui sono stati attivati, presenti in abbondanza nei cataboliti di collagene umano. A livello delle cartilagini articolari, i linfociti T Regolatori, rilasciano una grande quantità di citochine antinfiammatoria (TGF-B e IL-10), in grado di stimolare i condrociti a produrre nuovo collagene e riparare le cartilagini.
- Bromelina
Complesso di enzimi proteolitici, la cui origine deriva dal gambo e dai frutti immaturi dell’ananas. L’attività proteolitica della Bromelina, cioè la capacità di rompere i legami tra le proteine, è stata ampiamente documentata scientificamente, tanto da rappresentare un importante punto di riferimento in campo medico/farmacologico.
Nello specifico, diversi autori hanno descritto la sua attività antiedemigena e antinfiammatoria, poiché stimola la produzione di Citochine Antiinfiammatorie (PGI2 e PGE1) e contrasta la flogosi e l’edema.
In termini di qualità, l’impiego della Bromelina deve tener conto di titolazione e di dosaggio, che sono due parametri importanti, direttamente correlati all’intensità degli effetti e alla rapidità dei risultati.
Per titolazione si intende l’unità di misura della Bromelina, che esprime il tempo impiegato a degradare proteoliticamente un substrato. La titolazione più comune è GDU/g (Gelatin Digesting Unit). Di conseguenza, più alta sarà la titolazione, più efficace e rapida sarà l’azione della Bromelina.
In merito al dosaggio della Bromelina, è stato dimostrato che la sua attività si manifesta già partire da dosi basse pari a 160mg/die, ma per ottenere gli effetti migliori, in tempi brevi, è necessario utilizzare dosi pari a o superiori ai 600mg/die.
- OptiMSM®
Un MetilSulfonilMetano (sostanza donatrice di zolfo altamente biodisponibile) distillato, che garantisce la completa biodisponibilità, efficacia e tollerabilità. Il MetilSulfonilMetano (o MSM) è una sostanza naturalmente presente nel nostro organismo in piccole quantità, si può assumere con diversi alimenti, come frutta e verdura. Sappiamo che la quantità di MSM si riduce con l’avanzare dell’età e quindi diventa opportuna la sua integrazione.
L’ MSM è composto per la maggior parte da zolfo, un elemento fondamentale per il nostro organismo. Esso si trova con una concentrazione elevata nelle articolazioni, dove aiuta a mantenere la stabilità del collagene e dell’acido ialuronico.
Diversi ricercatori hanno studiato l’effetto dell’MSM sulle articolazioni sane e con artrosi. In particolare, l’attenzione è stata attratta dall’effetto dell’MSM sulle citochine, proteine che si sviluppano in caso di infiammazione correlata alla degradazione della cartilagine. Secondo questi studi, l’MSM riduce la formazione delle citochine pro-infiammatorie e degli enzimi che degradano la cartilagine, le metallo-proteasi.
Inoltre, l’integrazione di MSM supporta il metabolismo del fegato, perché dona lo zolfo utile per formare il glutatione, una sostanza antiossidante endogena coinvolta nei meccanismi di detossificazione dell’organismo.
L’OptiMSM® è la forma più pura, più attiva e meno tossica dell’MSM. È completamente privo di residui di metalli pesanti, impurità e contaminanti. È, inoltre, privo di glutine, allergeni e OGM. Il processo produttivo dell’OptiMSM® è caratterizzato da quattro distillazioni consecutive capaci di formare una polvere con caratteristiche ottimali: ottimo assorbimento e mancanza di effetti indesiderati.
Nelle articolazioni artrosiche, il liquido sinoviale si modifica nelle sue caratteristiche principali, perdendo sia viscosità che elasticità. In queste circostanze può essere utile, accanto alle altre terapie sintomatiche, sottoporsi ad infiltrazioni intra-articolari di acido ialuronico (viscosupplementazione), al fine di ripristinare un’adeguata lubrificazione articolare e allo stesso tempo bloccare il processo infiammatorio. Questa risulta essere una valida proposta in caso di patologia avanzata, in associazione alla somministrazione per via orale degli attivi sopracitati.
Nel caso della terapia infiltrativa, gli Acidi Ialuronici somministrati per via intra-articolare vengono classificati in base al peso molecolare. In generale, minore è il peso molecolare maggiore è l’effetto biologico all’interno dell’articolazione infiltrata; viceversa, con l’aumentare del peso molecolare, prevale l’azione di viscosupplementazione.
Esistono quindi:
- Acidi Ialuronici Lineari da 0,5 a 1,2 MDalton
- Acidi Ialuronici Lineari da 1,3 a 3,6 MDalton
- Acidi Ialuronici Cross-Linkati da 3,6 a 6 MDalton
Generalmente, il trattamento standard con acido ialuronico a basso peso molecolare prevede cicli da 5 infiltrazioni, a frequenza settimanale. Eseguita l’infiltrazione, il paziente deve restare a riposo per almeno 12 ore ed applicare del ghiaccio sull’articolazione trattata.
Anche nel periodo successivo al trattamento, e per tutta la durata dei cicli di terapia, comunque è sconsigliabile effettuare attività fisiche pesanti che richiedano carico e che possano essere traumatiche. In genere, un miglioramento sensibile della sintomatologia si manifesta dopo 2-5 settimane dal primo ciclo di infiltrazioni e si esaurisce dopo circa 6 mesi.
Al trattamento infiltrativo diretto, è utile associare una terapia orale a base di Collagene Idrolizzato e Acido Ialuronico al fine di supportare e valorizzare la viscosupplementazione già a partire dalla prima infiltrazione. Inoltre, l’assunzione di un’adeguata dose di Vitamina D (1000 U.I. al giorno), insieme al Magnesio e al Manganese, favoriscono la mineralizzazione e il metabolismo dell’osso.
Fonti:
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- https://optimsm.com
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